Falcone, Borsellino e i depistaggi. Al Teatro Massimo l’opera “Parole rubate” scritta dai giornalisti Gery Palazzotto e Salvo Palazzolo: in scena il computer del giudice ucciso a Capaci e la borsa dell’eroe di via D’Amelio.
Ci sono ricorrenze e ricorrenze. Per meglio comprendere, prendiamo come esempio il "quarto di secolo": a venticinque anni si può festeggiare una laurea, le nozze d'argento dei genitori, l'attività di un'affermata azienda, un record sportivo, la firma di un trattato internazionale. Ci sono poi le ricorrenze che celebrano un'idea nata da uomini che hanno scritto con la loro abnegazione al senso delle istituzioni - e la loro vita - un pezzo di storia della società civile italiana.
Correva l'anno 1992: era il 23 di maggio
Sono passati venticinque anni dalla strage di Capaci in cui il magistrato antimafia Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo (unico magistrato donna ucciso dalla mafia) e gli agenti della Polizia di Stato Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro persero la vita per mano della mafia. Un quarto di secolo dopo le idee di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino (che morirà vittima di un attentato a luglio dello stesso anno) continuano a camminare nelle gambe della gente, riecheggiano nelle menti delle persone perbene, fanno da scudo a chi combatte ogni giorno la mafia.
Il computer e la borsa
Il Teatro Massimo di Palermo celebra l'anniversario con lo spettacolo Parole rubate "portando in scena i due magistrati"; sì, Giovanni e Paolo saranno lì presenti sul palco grazie a due oggetti a loro appartenuti, simboli tangibili del lavoro dei due magistrati: il computer di Falcone (forse violato per trafugare i file più scottanti) e la borsa vuota di Borsellino (priva dell'agenda rossa su cui il magistrato custodiva gli appunti più riservati). Saranno questi due oggetti, concessi l’uno dal museo del Tribunale di Palermo e l’altra dalla procura di Caltanissetta, a segnare il percorso dell'opera.
Parole rubate: un’opera d’inchiesta civile
Scritta dai giornalisti Gery Palazzotto e Salvo Palazzolo, interpretata da Ennio Fantastichini, con la regia di Giorgio Barberio Corsetti, le musiche di Marco Betta e l’Orchestra del Teatro Massimo diretta da Yoichi Sugiyama. Sarà lui, Fantastichini, a interpretare il cercatore delle parole rubate, quelle parole di verità – sottratte da depistaggi, falsi testimoni, intrecci tra poteri – che avrebbero fatto luce sulle stragi e, con quelle, sulla storia d’Italia.
La cultura strumento contro la mafia
“Crediamo profondamente che un teatro abbia un ruolo civile e sociale, che un teatro debba essere il luogo di riferimento di una comunità – dice il sovrintendente del Teatro Massimo, Francesco Giambrone, che continua – le stragi del 1992 sono state il trauma collettivo più forte della nostra comunità, quelle che hanno segnato lo spartiacque tra un prima e un dopo. Da qui nasce l’idea di un’opera che, a modo nostro, con la musica, ripercorra quei giorni di un’estate che nessuno di noi potrà dimenticare. Raccontando quel che sappiamo, e anche con quello che non sappiamo ancora”.
Ricordare per continuare a sperare
Il teatro è la cassa di risonanza più forte che l'uomo abbia mai inventato; portare in scena una storia, raccontarla, fare in modo che la gente sia consapevole di quanto accaduto quel 23 maggio 1992 è atto doveroso e civile, perché se è vero che non dobbiamo per forza essere tutti eroi è anche vero che abbiamo il dovere civile e morale di aiutare gli eroi e di non dimenticarli, mai.
Gli uomini passano, le idee restano. restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini
lo ha detto Giovanni Falcone, magistrato antimafia, uomo delle Istituzioni, italiano che amava l'Italia e vedeva lontano, così lontano da dire che la mafia è un fenomeno sociale che, prima o poi, finirà. Se ci credeva lui, abbiamo il dovere di crederci anche noi.